4 Com’ è che don Eduardo si risolse a raccogliere da solo il
topo
«Si, si… è tanta… ‘na zoccola tanta… come quanto? Un braccio...
no, dal gomito…»
L’ attenzione di don Eduardo fu attirata dalla voce di Fofò.
Parlava del topo, ma con chi stava parlando? Si affacciò dal retrobottega e vide
il ragazzo al telefono, in piedi dietro al bancone che, gesticolando, si dava
da fare per descrivere con dovizia di particolari l’ animale al suo
interlocutore.
«Venti centimetri? Nooo, di più … trenta, perlomeno… ma pure
di più… fate trentacinque…»
«Fofò – urlò don Eduardo – jamme bello che ci sta gente»
Fofò riattaccò il telefono e sporse la testa nel retrobottega.
«Ma non ci sta nessuno, cavalie’»
«E mi era sembrato» disse il libraio continuando a fissare
lo schermo del computer. Poi, cercando di mostrarsi distaccato chiese «chi era
a telefono?»
«Un giornalista del Diuturno, ‘o giurnale. Dice che hanno
saputo che qua fuori ci sta una zoccola morta che nessuno vuole levare e ha
chiamato per sapere come era questa zoccola».
Per poco a Don Eduardo non venne
un colpo. Dopo “pasta cresciuta” e l’ ingegner De Cocchis, solo il Diuturno ci
mancava, pensò…
Il giornale del Cavalier Licata era stato determinante per
far vincere il ballottaggio al sindaco tre anni prima. Per ricambiare la
cortesia, una volta eletto, il sindaco aveva messo un po’ di persone gradite al
Cavaliere in posti importanti. Senonché avevano litigato ferocemente per una
questione di certi terreni che non si capiva di chi dovessero essere e il
grande amore si era trasformato in odio aperto.
Il Diuturno, che bene o male era l’ unico giornale che
leggevano proprio tutti in città, aveva cominciato una campagna puntigliosa su
tutti i disservizi che l’ amministrazione non aveva risolto o, peggio ancora,
aveva creato per incapacità manifesta. Agli attacchi del giornale, il Sindaco
replicava accennando a mezza bocca ad interessi poco puliti del Cavaliere che si
era rifiutato di assecondare e che gli erano costati l’ interessata ostilità da
parte della testata cittadina.
Non ci voleva molto ad indovinare che il prossimo argomento
del Diuturno contro il sindaco sarebbe stato quel topo morto lasciato lì al
sole. E don Eduardo già si immaginava i commenti compiaciuti di quelli che
avrebbero trovato nell’ appoggio del giornale al soldo degli interessi dei
nemici dell’ amministrazione, l’ indiscutibile conferma all’ assurda teoria del
complotto.
Il complotto della zoccola morta, pensò il libraio. E in un
attimo prese la sua decisione: il topo da terra lo avrebbe tolto lui. Era l’
unica maniera per evitare di trovarsi a fare il vaso di coccio tra i vasi di
ferro nella guerra tutta mediatica dell’ amministrazione.
Don Eduardo già si vedeva circondato da spie del sindaco
pronte a sputtanarlo sui social network con fotografie equivoche, notizie
scandalose, insinuazioni malevole. Non che avesse qualcosa da nascondere, ma la
tecnica usata dal sindaco e dai suoi fedelissimi per demolire gli avversari non
aveva bisogno di fatti reali. Bastava un raccontino ben articolato, che legasse
qualche fatto vero con ipotesi fantasiose, ed ammiccasse a qualche luogo comune
di facile presa, per relegare irrimediabilmente il malcapitato tra i cattivi da
mettere al bando.
Aprì la porta sul retro del negozio, scese la lunga
scalinata che portava al vecchio deposito attrezzato e con l’ aiuto di una
torcia cominciò a rovistare tra le cose ammonticchiate da decenni. Recuperò un
vecchio paio di guanti da motocicletta, uno sciarpone invernale di lana pesante
e degli occhialini da sub che giacevano lì coperti di polvere. Prima di
risalire agguantò un coperchio di cartone rimasto orfano della sua scatola, e
si fece coraggio pensando che era l’ unica cosa da fare. Tornato nel
retrobottega batté la polvere dagli indumenti che aveva recuperato, pulì le
lenti degli occhialini e prese un sacchetto per l’ immondizia nero. Inforcò gli
occhialini tenendoli ben aderenti alle orbite degli occhi, indossò la sciarpa a
coprire la nuca ed il volto, calzò i guanti e con il sacchetto aperto nella
mano sinistra ed il coperchio di cartone nella destra uscì sulla strada.
Determinato a portare a termine la sua missione, si diresse deciso
verso il topo. Ma appena ne intravide la sagoma non poté fare a meno di provare
uno schifo incontrollabile. Sentì lo stomaco rivoltarsi e dovette fare uno
sforzo per continuare ad avvicinarsi reprimendo i conati di vomito che
montavano. La carogna era lì, a pochi centimetri di distanza dalle sue scarpe.
Cercava di non guardarla direttamente, di non mettere a fuoco. Intravedeva il
fagotto gonfio ed inerte, «ma è morto, quindi di che dovrei avere paura?» si
fece coraggio. Intanto sentiva un copioso rivolo di sudore scendergli dietro la
schiena, complice forse lo sciarpone di lana, mentre le lenti cominciavano ad
appannarsi.
Due passanti, forse turisti, che da lontano avevano visto
quella strana scena, passarono all’ altro capo della strada sorridendo e con i
cellulari cominciarono a fotografare quello strano essere che sovrastava il
topo morto.
Il libraio pensò qualcosa del tipo «ora o mai più», e con uno scatto improvviso si
chinò. Aveva disteso a terra il sacchetto aperto e con l’ altra mano aveva
posizionato il cartone lungo il corpo dell’ animale, pronto a dare il colpo
necessario a farlo scivolare dentro.
Decise di contare fino a tre e poi di
compiere finalmente l’ ardita operazione. «Uno», ma nemmeno aveva finito di pensarlo che senti una voce
alle sue spalle urlare: «Fermi tutti! Nessuno tocchi quel ratto!» (continua)
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